Prima di tutto perché si tratta di un qualcosa molto lontano da loro, il 2100 o il 2050 non sono qui e le persone si preoccupano solo di quello che faranno la prossima settimana, non di quello che accadrà nelle prossime tre decadi.
Inoltre, esiste una barriera nel cervello: “Barriera del destino tragico”, ovvero, quando gli scienziati dicono che dobbiamo fermare le emissioni di carbonio, altrimenti la terra brucerà, e che quindi la nostra civiltà verrà distrutta e ci sarà un’apocalisse, molte persone, ascoltando queste notizie catastrofiche, non hanno alcuna reazione. In qualche modo è come se non connettesse, non si focalizzano sulla potenziale distruzione del pianeta.
Per queste persone, è necessario correggere l’equilibrio, bisogna parlare per il 75% delle soluzioni e per il 25% delle minacce. La gente si deve rendere conto di questa crisi, ma raccontare la verità non basta. Come facciamo a parlare della crisi climatica in modo che le persone possano sentirsi coinvolte?
Abbiamo visto anche in questo periodo di pandemia, ci sono state delle modifiche radicali non solo a livello individuale, ma anche tra i politici. Questa crisi ci ha dato l’energia necessaria per cambiare, è una grande opportunità. Quindi la vera sfida è spiegare la situazione in modo realistico, ma allo stesso tempo raccontare anche una storia positiva, fatta di speranza, senza però che la gente possa pensare che se ne sta occupando qualcun altro. È un equilibrio molto delicato.
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